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Paesaggi e scorci rupestri, dipinti ad olio, frutto della fluente creatività di Mario Esposito. Leggibili nel calore della palette cromatica e, più marcatamente, nella densità delle rappresentazioni, attenta ai volumi, che affianca felicemente i già noti Piccolini. Tele, questi ultimi, rigorosamente quadrate e dal formato minuto su cui un film di resina finale vela acrilici, smalti e diluenti all’origine di un’ampia rosa di soggetti. Da cui l’Albero della Vita, corrente e permeante nella produzione di Esposito ad evocare la celebre opera di Gustav Klimt, le figure di animali e le rappresentazioni astratte riconducibili, queste ultime, allo studio dei Grandi Maestri del passato tra cui, a titolo di mero esempio, Joan Mirò e Vasily Kandinsky. Se non icone senza tempo, al pari della celebre Vespa o del monumentale Colosseo. Grazie ai quali, su generosa concessione dell’artista, muta il ruolo dell’osservatore che, nel riassemblare i singoli elementi, diventa attore primario del cumponere, rivisitando attivamente l’armonica geometria dell’artefatto secondo gusto e proprio sentire.
Critica a cura di Pietro Franca 2025
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